Un giovane, laico, appassionato, radicale. Un ragazzo come tanti, che ha preso sul serio il Vangelo. Il 7 settembre 2025 sarà proclamato santo: Pier Giorgio Frassati, il “San Francesco di Torino”, come lo definì sua sorella Luciana.
Nato a Torino il 6 aprile 1901, Pier Giorgio Frassati visse solo 24 anni. Morì nel 1925 per una forma fulminante di poliomielite. La sua vita fu semplice, ma intensa. Nessuna apparizione, nessun miracolo vistoso. Solo una quotidianità vissuta in pienezza, radicata nell’Eucaristia, nella preghiera e nel servizio ai poveri. Fu un ragazzo allegro, sportivo, generoso. Studiava Ingegneria mineraria per stare vicino agli operai e testimoniava la fede con naturalezza e coraggio. Non voleva “vivacchiare”, ma vivere davvero.
La sua vita era immersa nel Vangelo. Da adolescente si innamorò della spiritualità domenicana e prese il nome di fra Girolamo, in omaggio a Savonarola. Amava san Paolo e l’Inno alla Carità. Ogni mattina si nutriva dell’Eucaristia, ogni settimana visitava i poveri. Lo faceva in silenzio, con pudore. Nelle baracche e nei tuguri di Torino, portava medicine, parole di conforto, pane e dignità. “Il bene – diceva – va fatto in silenzio, giorno dopo giorno”.
Non fu mai prete. Scelse di essere laico per “stare in mezzo alla gente”. Fondò la “Compagnia dei Tipi Loschi”, un gruppo di amici uniti dalla fede e dall’amore per la montagna. Erano gite, risate, preghiera e profondi legami di fraternità. Aveva un forte senso sociale: partecipò alla vita politica con passione, fu antifascista senza compromessi, sostenne il Partito Popolare di don Sturzo, sognava un’Italia più giusta. E anche quando suo padre, direttore de La Stampa, gli offrì un posto in redazione, accettò solo per amore della famiglia, ma con il cuore spezzato.
Negli ultimi giorni di vita, mentre la famiglia era distratta dalla morte della nonna, Pier Giorgio affrontò da solo la malattia. La sua unica preoccupazione era che i poveri ricevessero ancora l’aiuto necessario. Il 4 luglio 1925 spirò serenamente, lasciando scritto l’ultimo appunto per un amico della San Vincenzo.
Al funerale, la famiglia si aspettava i soliti notabili torinesi. Ma ad affollare le strade furono i poveri, gli operai, gli emarginati. Chi non lo conosceva, quel giorno lo scoprì santo.
Giovanni Paolo II lo ha beatificato nel 1990, definendolo “l’uomo delle Beatitudini”. Papa Benedetto XVI e Papa Francesco lo hanno proposto più volte come modello per i giovani. A Cracovia, durante la GMG del 2016, le sue reliquie furono esposte per la venerazione. Francesco ha ricordato che la santità non è questione di abiti religiosi, ma di amore quotidiano: «Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti o religiosi. […] Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza».
Pier Giorgio ha mostrato che si può essere giovani, laici, borghesi, appassionati di sport e cultura, eppure radicalmente cristiani. Che si può essere normali… ma santi.
Come San Francesco, anche Pier Giorgio scelse la povertà evangelica. Come lui, amò i lebbrosi del suo tempo: i poveri, gli esclusi, gli ultimi. Come Francesco, anche lui fu gioioso e libero, amante della bellezza, della natura e della fraternità. Per questo oggi, alla vigilia della sua canonizzazione, possiamo guardarlo come a un fratello maggiore nella fede.
Il Beato Pier Giorgio Frassati sarà santo. Ma lo era già: perché ha creduto che il Vangelo è davvero buona notizia per la vita, per la politica, per la giustizia, per l’amore, per ogni giorno. E non ha avuto paura di viverlo fino in fondo.
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