Se viviamo, un po’ tutti, dentro un’impotenza grande, educhiamoci a stare dentro la realtà e, almeno noi, ad un uso sapiente delle parole, di chi le pesa prima di usarle.
“Congratulazioni ai nostri grandi guerrieri”… “Nessun altro esercito al mondo avrebbe potuto fare questo”… “abbiamo lavorato come una squadra, come mai una squadra aveva lavorato prima”… Voglio dire grazie … soprattutto ai grandi patrioti… Abbiamo bisogno della loro capacità e competenza. Voglio ringraziare tutti gli elementi brillanti coinvolti in questo attacco. Non c’è esercito al mondo che possa fare quello che abbiamo fatto noi stanotte”… “il bullo… deve ora fare la pace”.
No, non sono battute estrapolate da una qualche sceneggiatura di un film mediocre di guerra, quelli che ogni tanto passa Italia 1, purtroppo sono le parole del Presidente degli USA dopo l’attacco agli impianti nucleari in Iran.
Lontano dal fare geopolitica, mi fermo alle parole, che sono arroganti e oscene. Sono le parole usate (al di là della parte che le ha pronunciate) da chi consapevole della propria forza, riduce all’impotenza o al silenzio (a seconda dei casi) gli altri. Di chi ostenta la propria forza e il proprio potere, orgoglioso della differenza che lo separa dagli altri. Il linguaggio si adegua, senza pudore, a questa esibizione muscolare. Ne abbiamo esempi quotidiani, basta avere lo sguardo attento.
Con l’età ho imparato ad apprezzare la misura, la discrezione, e la saggezza che spesso le accompagna. Cose preziose e poco disponibili sul mercato odierno. E se viviamo, un po’ tutti, dentro un’impotenza grande, educhiamoci a stare dentro la realtà e, almeno noi, ad un uso sapiente delle parole, di chi le pesa prima di usarle. Perché le azioni e le parole non moltiplichino quell’odio e quel rancore (deriva da rancido, un sentimento che non prende aria e marcisce) dalle radici profonde che, inevitabilmente, la violenza fa nascere nel cuore umano.
Lì dove i “grandi guerrieri”, gli “eserciti potenti”, i “muscoli”, non hanno né bussola, né competenza, né potere e né tempo per guarire quelle ferite.
E, come invita il Papa, preghiamo per la pace.
So long
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