Sono un missionario. L’insegnamento è una missione e quest’estate mi ha portato fino in Madagascar. Nell’anno del Giubileo della Speranza ho sentito di nuovo forte il desiderio di partire.
Ricorda: la bellezza vive nei dettagli
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Credi a chi il suo tempo lo sa regalare
A chi non parla e basta ma sa anche ascoltare
Tieni con te sempre una conchiglia in tasca
E non ti mancherà mai il mare.
Voglio usare queste parole di una canzone per presentarmi. Sono Simone e di professione faccio l’insegnante di matematica e fisica in una scuola salesiana, ma se dovessi definirmi come persona prima di tutto direi che sono un sognatore. Io amo sognare, amo custodire e alimentare i sogni degli altri. Tengo sempre con me un piccolo rosario e un naso rosso, perché nei naturali momenti di difficoltà mi ricordano quanto sia meravigliosa la vita se c’è Dio e la leggerezza del vivere in positivo.
Sono un missionario. L’insegnamento è una missione e quest’estate mi ha portato fino in Madagascar. Nell’anno del Giubileo della Speranza ho sentito di nuovo forte il desiderio di partire verso lidi che potessero ospitare un semplice pellegrino come me in cambio del mio umile servizio. In quest’isola dalla terra rossa ho incontrato migliaia di sguardi di bambini che, in un’infinita gioia, sapevano affrontare le sfide quotidiane della vita con la spensieratezza e il sorriso. Le realtà in cui abitano sono tremende; possono non lasciarti scampo e la morsa della povertà stringe la quasi totalità della popolazione malgascia. La fame attanaglia le famiglie numerose che vivono nelle contrade delle città e nei paesini sperduti di campagna.
Nella prima settimana di permanenza a Fianarantsoa, nell’entroterra dell’isola, mi sono occupato di un lavoro di segreteria: ho registrato al computer tutti i bambini e le bambine battezzati dal 1996 al 2009 nella parrocchia di un quartiere della città. Non è stato per nulla facile scorrere quei registri e accorgersi di quanti fossero i piccoli senza padre, senza data di nascita e talvolta persino senza un paese di provenienza. A tutto questo si aggiunge la mancanza di un’adeguata istruzione, che troppo spesso impedisce ai ragazzi malgasci di imparare un onesto mestiere e di immaginare un futuro diverso.
Eppure, proprio in questo duro contesto sociale, ho incontrato Don Bosco. L'ho visto incarnato nella figura di un salesiano missionario che da oltre vent’anni vive qui, educando e accogliendo i ragazzi di strada. Osservarlo nella sua quotidianità, vedere con quanta amorevolezza cresce questi giovani e li guida con fermezza e speranza, è stato per me una scuola di vita. È lì che ho compreso che il carisma salesiano non è solo un metodo educativo, ma un vero stile di vita: fatto di presenza, ascolto, gioco e fiducia nel bene.
Sono tornato a casa con il desiderio di trovare la giusta chiave salesiana da portare tra i banchi e nel cortile della mia scuola. Questa missione mi ha confermato che l’educazione non è solo trasmissione di nozioni, ma un atto di fede nel potenziale di ogni ragazzo. Ho chiuso questa mia esperienza con il cuore grato e con la mia conchiglia in tasca. In essa porto il suono di mille risate e il silenzio di chi non ha voce, la fatica dei volti segnati e la speranza degli occhi bambini. Porto con me il rosario, perché so che non sono solo in questa avventura, e il naso rosso, perché la leggerezza è la chiave per aprire i cuori e continuare a sognare.
Oggi più che mai credo che la missione dell’insegnante sia quella di non lasciare che nessun ragazzo smetta di sognare, perché i sogni, se custoditi e condivisi, diventano il motore di un cambiamento che neppure il flagello della povertà può spegnere.
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