Il gioco è una cosa seria (e bellissima)

Spunti di formazione per animatori in stile salesiano, l’importanza del gioco!

Chi lavora con i ragazzi lo scopre presto: il gioco non è solo svago. È relazione, scoperta, crescita. Quando un bambino gioca, in realtà sta imparando a vivere. Ecco perché potrebbe valere la pena di prenderlo sul serio – senza perdere il gusto per il divertimento.

Nel Vangelo non troviamo episodi di Gesù che gioca, ma c’è un gesto che ci dice molto: prende i bambini tra le braccia, li benedice, li mette al centro. Ci invita ad accogliere il Regno come loro. E proprio attraverso il gioco i bambini esprimono ciò che sono, mettono in campo emozioni, regole, desideri, sogni. Accompagnarli anche in questa dimensione può diventare un’occasione preziosa per educare.

Anche don Bosco lo aveva capito. Nei suoi ricordi descrive pomeriggi in cui il gioco era parte integrante della vita dell’Oratorio: bocce, trampoli, giochi con corde e legni, catechismo, canto. Nessuna separazione tra attività educativa e ludica. In un ambiente fatto di entusiasmo, con tanti strumenti diversi e con la sua presenza costante, riusciva a tenere insieme allegria e ordine, libertà e responsabilità.

Chi fa animazione oggi può raccogliere questo spirito. Il punto non è solo “far giocare i ragazzi”, ma curare il modo in cui questo accade. Si potrebbe, ad esempio, iniziare da alcune attenzioni semplici ma significative: spiegare bene le regole, assicurarsi che siano comprensibili per tutti, costruire giochi in cui nessuno resti escluso. È utile pensare non solo al risultato finale, ma anche a come si arriva insieme al traguardo.

Potrebbe essere importante variare le attività, alternando giochi più movimentati ad altri più riflessivi, tenendo conto dell’età e dell’energia del gruppo. Anche la scelta delle squadre può fare la differenza: mescolare abilità diverse e favorire la collaborazione può aiutare a vivere il gioco come occasione per conoscersi, rispettarsi, lavorare insieme.

L’aspetto emotivo non è da sottovalutare. Gioia, entusiasmo, ma anche frustrazione o rabbia sono esperienze che emergono facilmente. Accompagnare i ragazzi nel riconoscerle e affrontarle può aiutare a crescere nella consapevolezza di sé e degli altri. Un feedback positivo al momento giusto, una parola di incoraggiamento dopo un errore, possono lasciare un segno profondo.

Il gioco non è mai solo gioco. È il luogo dove il ragazzo sperimenta il proprio corpo, scopre limiti e possibilità, esprime la propria creatività, impara a stare con gli altri. Quando gioca, tira fuori ciò che è. Lo diceva anche don Bosco: “nel gioco si conoscono i ragazzi”.

Per questo l’animatore che desidera essere vicino ai ragazzi potrebbe considerare il gioco come uno strumento educativo privilegiato. Non basta “esserci”: serve preparazione, cura, attenzione. Preparare un gioco con serietà – pensando al luogo, ai materiali, al gruppo – non vuol dire togliergli spontaneità, ma garantirgli senso e valore.

Potrebbe essere utile, ad esempio, non improvvisare, ma pensare in anticipo al tipo di dinamica che si vuole attivare. Magari provare il gioco, predisporre lo spazio, coinvolgere altri animatori nel ruolo di arbitri o capisquadra. Anche l’ambientazione può fare la differenza: una storia, un travestimento, una musica, possono trasformare un semplice gioco in un’avventura memorabile.

Durante lo svolgimento si potrebbe mantenere l’attenzione sul campo, essere imparziali, evitare di discutere in pubblico. Gli animatori che non arbitrano potrebbero stare dentro le squadre per incoraggiare, animare, prendersi cura. A fine gioco, sarebbe bello aiutare chi si è arrabbiato, chiarire eventuali dubbi, valorizzare ciò che è andato bene. Il momento della proclamazione non dovrebbe esaltare i vincitori, ma celebrare la partecipazione di tutti.

Se è vero che i ragazzi imparano soprattutto per imitazione, allora un animatore che gioca con gioia, che si prepara con serietà, che si diverte insieme a loro, è già una lezione di vita. Senza troppi discorsi.

Il gioco può essere un’occasione per avvicinarsi, per creare fiducia, per dire una parola giusta al momento giusto. È un ponte tra noi e loro. E se lo attraversiamo con intelligenza e cuore, può diventare una via concreta per accompagnarli nella loro crescita.

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