“E se non avessi l’amore?”

Cos’hanno in comune gli Eugenio in via di Gioia e san Paolo?

È la domanda che san Paolo pone all’inizio del suo inno più famoso, l’Inno alla carità, e che non smette di scuoterci. Perché ci dice che possiamo avere parole brillanti, progetti grandiosi, esperienze forti… ma senza amore “non siamo nulla”. Provocante, quest’uomo. Parole che conosciamo bene, ma che a volte rischiano di scivolare via come qualcosa di “già sentito”. E invece no! Leggi con attenzione: “L’amore è paziente, è benevolo… non cerca il proprio interesse, non tiene conto del male ricevuto…”. È una vertigine, non una poesiola. Ma che cosa vuol dire davvero amare? Quando abbiamo ascoltato per la prima volta L’amore è tutto, l’ultimo album degli Eugenio in Via di Gioia, ci siamo sentiti subito rallegrati e provocati perchè ogni canzone cerca di raccontare una sfumatura diversa dell’amore: non quello ideale o da copertina, ma quello vissuto, cercato, tradito, sperato. Quello che ci abita, anche quando non ce ne accorgiamo. Così è nato questo percorso: provare ad ascoltare questo album con la lettera ai Corinzi tra le mani e nel cuore con il desiderio sincero di cercare, anche tra le parole di una band contemporanea, qualche traccia di verità.

Amare è, innanzitutto, cambiare prospettiva. È vedere nell’altro un’altra America, tutta da scoprire. Avvicinarsi con delicatezza, in punta di piedi, mettendo da parte i propri schemi per incontrare la bellezza dei suoi. Perché amare è uscire da sé per entrare nell’orizzonte dell’altro: “poi scopriremo un’altra America, che non c’entra niente con quel che pensavo […], nelle stesse parole che ho sempre ascoltato.” San Paolo ci ricorda che “la carità non cerca il proprio interesse” (1Cor 13,5): l’amore autentico non pretende, non forza, non plasma l’altro a propria immagine, ma si fa strada nei suoi pensieri, nei suoi sentimenti, nel suo mondo, nei suoi schemi, senza annullarli. Gesù lo ha fatto per primo: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). È entrato nella nostra carne, nei nostri vestiti, nei nostri dolori e schemi, senza imporre i suoi (al limite ce li ha proposti dopo). Anche noi possiamo attraversare “mari di differenze” per incontrare davvero l’altro. L’amore diventa rivoluzionario quando riconosciamo che l’altro è più vicino, quando diventiamo “eroi che avranno il coraggio di scoprirsi diversi”, imparando ad accogliere anche le parti più lontane o sconosciute (innanzitutto di sé) dell’altro. Allora non hai più paura di sbagliare, ma sperimenti il gusto del concedersi tempo, come “due milanesi che non parlano di soldi perché hanno tempo da perdere”: per mettere da parte ciò che ci chiude in noi e concentrarsi sull’altro e i suoi sogni. Perché, diciamocelo, in fondo è davvero “strano questo tempo: ci allontaniamo per trovare un senso di esistere da soli”, mentre l’America è proprio lì, nell’altro.

Qui la canzone Luna diventa un inno al lasciar brillare, a permettere all’altro di tirare fuori il meglio di sé, di portare la luce riflessa del sole nella sua vita, come la luna quando splende alta nel cielo: “lascia che brilli la luna, che esploda di te”. Questo brano ci regala un’altro lato dell’amore: l’amore “non invidia, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio”, così “Luna non esclude il sole al massimo lo esalta”, l’amore rende capaci di illuminare gli altri e non di spegnersi a vicenda.

Come anche in Stammi lontano, forse la canzone più difficile da comprendere e da vivere, che racconta un amore capace di fare un passo indietro, che non soffoca né pretende, ma lascia spazio. “Lasciami se vuoi, qui non ci sono catene, resta qui sе vuoi,… la  libertà è più bella insiemе a te”. È un amore non possessivo, che sa rinunciare al controllo per custodire l’altro nella libertà. Un amore così è maturo e generativo. È l’amore che rinuncia all’ego per il bene dell’altro, che ama senza bisogno di stringere, ma sa anche lasciar andare. Infatti “Sto molto meglio insieme a te se sono leggero, sono una farfalla in volo”. Ciò che ci permette di volare è una relazione senza catene.

Per ricominciare, invece, propone una nuova sfumatura dell’amore: il perdono! È questo il dono per eccellenza, il più prezioso e difficile da dare e da ricevere, ma capace di liberare da ogni rancore e da ogni prigione del peccato: “non sai quanto male mi fa”. “L’amore tutto perdona”, direbbe san Paolo, proprio perché non c’è ferita, esperienza o peccato che l’amore non possa coprire: “tutto, qui, sta finendo per ricominciare”. È come se fossimo fatti per questo: non per cadere, ovviamente, ma per ricominciare: “e tu, con me, stai cadendo per ricominciare”. Si tratta di un cammino, ovviamente: guardarsi dentro, dare un nome a ciò che si trova, per lasciarsi perdonare da Dio, perdonarsi con Lui e perdonare chi ci sta accanto: “al sole basta un giorno. Io ci perdo il sonno per ricominciare”.

L’amore è quindi proprio come una Danza che ti vibra dentro, come “scintille sulla brace”: si accende e non ti lascia come prima. Una cammino inarrestabile “la danza della vita continuerà per sempre”. Porta una luce nuova, capace di fare a cazzotti con tutte le luci fioche e artificiali di cui parla Buio: “sono da solo tutta la notte, sento la tua mancanza. Eri la forma del mio dolore, l’anima non ha sostanza. Non cerco la tua risposta”. Le luci del telefono e del computer, nel buio di una stanza chiusa, sono le luci della solitudine: a lungo andare paralizzano, facendo nascere una nostalgia profonda dell’altro e del dono che rappresenta per l’anima. La potenza dell’amore però rimane, anche se dormiente dentro il cuore di ciascuno, e lo dicono bene le seconde voci (forse un po’ soffocate) nel ritornello finale: “io sono solo qui mentre rifletto in silenzio come se io fossi vetro davanti alla mia casa. Sento comunque che vibri al ritmo della mia pelle. Se urli più forte tu ritorni, torni come un mantra”. San Paolo ci direbbe che “la carità non avrà mai fine, che le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà”: è proprio vero che, quando la vita ti presenta il conto e tutto sembra andare storto, sentendoti solo e senza risultati, l’unica cosa che resta, e che non finirà mai, è l’amore. Un amore che continua a riposare dentro ciascuno di noi e che, nella misura in cui gli diamo voce, grida il suo essere stato amato. Ed è proprio da lì che nasce il rilancio: la spinta a riconoscersi amati e a cercare l’amore intorno a noi. Un amore che, come racconta Infinito, è fatto di piccole cose, soprattutto quelle che sembrano contraddirsi o scontrarsi tra loro. Ma forse questa contraddizione ci aiuta a completarci: “il mio disordine cerca la tua armonia”. Vivere tutto al 100%, anche i paradossi, è una chiamata a sperimentare l’infinito che abita il limite. È la capacità di cogliere l’eterno nel frammento. L’amore vero sa farsi presenza nel dettaglio quotidiano, senza mai perdersi nel rumore, e proprio in questa fedeltà all’istante si apre all’infinito di Dio.

Notte gelida è un invito a restare. Anche quando il freddo dell’anima sembra paralizzante, la canzone ci ricorda che la notte non è infinita: l’alba arriva sempre, e ogni momento buio sarà inevitabilmente seguito dalla luce. In questa immagine emerge un messaggio di speranza ostinata, di fedeltà silenziosa che non abbandona. È la stessa logica dell’amore paziente e fiducioso di cui parla san Paolo: «La carità tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Restare nella notte è già un atto d’amore, perché significa credere nella luce anche quando non si vede.

L’ultima canzone è la dichiarazione semplice ma potente del desiderio di fare il bene attraverso la musica, restando fedeli al proprio modo di testimoniare. È un invito a ciascuno a vivere la propria vocazione nel quotidiano, a dire al mondo che “l’amore è tutto”, anche se può sembrare inutile o ridicolo, come suonare mentre il Titanic affonda. Ma è proprio questa la forza della carità: «Se anche dessi in cibo tutti i miei beni, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1Cor 13,3). L’amore non è mai vano, anche se agli occhi del mondo appare sconfitto. È ciò che rimane, anche quando tutto il resto scompare.

“Tutto il mondo qui mi parla di te, tu non sai cosa cerchi e perché”: così si chiude il disco in Tutto. Un’intuizione preziosa, che conclude l’opera ricordandoci che l’amore è davvero tutto, perché ci invita a cercare e ci definisce: parla di noi. In questo, lasciamo la parola a sant’Agostino, che scrisse L’amore è tutto, una delle preghiere più belle mai composte. Una frase che non solo richiama il titolo dell’album, ma che ci ricorda come l’amore cristiano non sia semplicemente un sentimento tra gli altri, bensì la misura con cui tutto acquista senso.

Se tacete, tacete per amore.
Se parlate, parlate per amore.
Se correggete, correggete per amore.
Se perdonate, perdonate per amore.
Sia sempre in voi la radice dell’amore,
perché solo da questa radice può scaturire l’amore.
Amate, e fate ciò che volete.
L’amore nelle avversità sopporta,
nelle prosperità si modera,
nelle sofferenze è forte,
nelle opere buone è ilare,
nelle tentazioni è sicuro,
nell’ospitalità generoso,
tra i veri fratelli lieto,
tra i falsi paziente.
È l’anima dei libri sacri,
è virtù della profezia,
è salvezza dei misteri,
è forza della scienza,
è frutto della fede,
è ricchezza dei poveri,
è vita di chi muore.
L’amore è tutto.

(Sant’Agostino)

Un’ultima cosa…Alla fine, non resta che uno sguardo: quello di Cristo sulla croce, quando dice: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30). Non è la fine di una vita, ma il compimento di una vita; anzi, il compimento dell’Amore. Non è solo il gesto estremo di chi porta a termine un compito, ma l’annuncio gioioso di chi ha raggiunto il fine, il bersaglio, la pienezza di senso. Lì, proprio lì, si capisce che “l’amore è tutto” non è uno slogan, ma una verità che ha il sapore del sangue di chi si dona fino all’ultimo respiro. Tutto trova senso solo nell’amore che sa donarsi. Tutto è compiuto, quando tutto è amato.

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