Dare luce: come rendere vivi i momenti formativi

Spunti di formazione per animatori in stile salesiano, l’importanza dei momenti formativi!

Può sembrare un paradosso: proprio i momenti pensati per “formare” rischiano a volte di risultare i più noiosi. Ma chi ha avuto la fortuna di vivere un incontro davvero significativo – uno di quelli che ti tocca nel profondo – sa bene che può accadere il contrario. Un messaggio ben trasmesso, in un clima accogliente, con le parole giuste e le modalità adatte, può diventare luce. Di quelle che rimangono accese.

Anche Gesù, quando parla alle folle nel discorso della Montagna, non improvvisa. Si siede, guarda i suoi discepoli, sceglie parole forti, immagini incisive. Dice cose che risuonano ancora oggi: “Beati voi… voi siete la luce del mondo”. È un invito che riguarda anche noi animatori: pensare i momenti formativi non come uno spazio riempitivo, ma come un’occasione preziosa di Vangelo vissuto.

Anche don Bosco ci insegna qualcosa di grande. La sua domenica tipo in oratorio era un intreccio sapiente di liturgia, confessione, catechesi, storie, racconti. Tutto pensato per parlare al cuore dei giovani, senza distinzioni tra piccoli e grandi. E lo faceva con un linguaggio vivo, popolare, coinvolgente, adatto ai tempi e alle persone. Forse anche oggi, riprendendo questo spirito, potremmo trovare nuove strade per animare la formazione.

Un momento formativo può diventare significativo se parte da un’attenzione concreta al vissuto dei ragazzi. Vale la pena scegliere un tema che li riguardi, che parli la loro lingua. Non serve strafare: semplicità e concretezza possono toccare in profondità. E per trasmettere un messaggio, si potrebbero alternare video, storie, sketch, testimonianze. Ogni ragazzo apprende in modo diverso: usare più linguaggi può aiutare tutti a sentirsi coinvolti.

Dopo aver proposto un contenuto, può essere utile lasciare spazio al silenzio, alle domande, al confronto. Non per ottenere “le risposte giuste”, ma per dare valore alla riflessione personale. Chiedere “Cosa ti ha colpito?”, “Se ti succedesse, come reagiresti?”, non significa cercare giudizi, ma offrire l’occasione di ascoltarsi.

Anche il confronto in gruppo ha un grande valore. Non tutti sono abituati a esprimersi, ma se l’ambiente è accogliente e non giudicante, può nascere qualcosa di bello: si ascolta, ci si conosce meglio, si impara a vedere la realtà da punti di vista diversi. La diversità, in un gruppo, può diventare ricchezza.

Certo, anche il modo in cui organizziamo il tempo e lo spazio incide molto. Si potrebbe trovare un equilibrio tra teoria e attività pratica, perché non tutti riescono a mantenere a lungo l’attenzione se si parla soltanto. Anche piccole attività manuali, un cartellone, un gioco a tema possono aiutare a interiorizzare meglio i contenuti.

Le consegne, in tutto questo, vanno pensate con cura. Se sono chiare, semplici e spiegate con calma, evitano confusione. E se qualcuno non capisce, si può ripetere o chiarire senza fretta. Un clima sereno aiuta tutti a partecipare meglio.

Forse ciò che più conta è l’atteggiamento dell’animatore. Se chi propone l’attività è autentico, coerente con ciò che dice, rispettoso delle opinioni, disposto a mettersi in discussione, diventa un riferimento. Non un maestro dall’alto, ma un compagno credibile. Un testimone.

Alla fine, un buon momento formativo non si misura da quanto i ragazzi ricordano, ma da cosa si portano dentro. A volte una parola, uno sguardo, una scena, un gesto condiviso possono accendere una luce che dura a lungo. E proprio come diceva Gesù, quella luce non va messa sotto il moggio: va condivisa, moltiplicata, fatta brillare. Con semplicità, con passione, con cuore.

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