Crescere insieme: l’arte di animare un gruppo

Spunti di formazione per animatori in stile salesiano, l’importanza di animare il gruppo!

Animare un gruppo è un’esperienza che può sorprendere. A volte sembra tutto semplice: i giochi funzionano, le attività scorrono, i ragazzi partecipano. Altre volte, invece, emergono tensioni, incomprensioni, fatiche. E in quei momenti ci si accorge che guidare un gruppo non significa solo “tenere tutto sotto controllo”, ma entrare dentro le relazioni, coltivarle, accompagnarle.

Anche Gesù ha scelto di vivere la sua missione in gruppo. I dodici apostoli non erano perfetti: avevano caratteri diversi, sensibilità contrastanti, momenti di scontro. Ma lui li ha uniti con un legame profondo: quello della carità. Ha insegnato loro a camminare insieme, a portarsi a vicenda, a diventare una comunità viva.

Anche don Bosco, fin da giovane, aveva intuito il potenziale educativo del gruppo. La sua “Società dell’Allegria” nasceva dal bisogno di un’amicizia vera, in cui si cresceva giocando, pregando, aiutandosi nello studio, ma anche correggendosi con affetto. Nessuna rigidità, solo regole essenziali, e soprattutto uno stile fraterno e gioioso.

Oggi, come animatori, ci troviamo spesso a gestire gruppi nei momenti di laboratorio, di gioco, nelle attività quotidiane. Non sempre tutto va liscio, e per questo può essere utile coltivare alcune attenzioni semplici ma preziose.

Potrebbe essere importante, ad esempio, partire dalla relazione. Un sorriso all’ingresso, una battuta per rompere il ghiaccio, un saluto personalizzato possono già cambiare l’atmosfera. I ragazzi, quando si sentono riconosciuti, sono più disponibili a partecipare.

Anche durante i giochi o le attività strutturate, si può lavorare per far emergere le qualità di ciascuno. Mescolare i gruppi, assegnare ruoli differenti, dare responsabilità a turno aiuta a evitare la formazione di “clan” e stimola la collaborazione.

A volte basta poco per far funzionare meglio una dinamica: una domanda aperta (“Come ti sei sentito in questo gioco?”), un gesto di incoraggiamento, o il semplice saper ascoltare chi è in silenzio. Se un ragazzo è più chiuso o a disagio, si potrebbe provare ad avvicinarsi con discrezione, senza forzare. Non sempre si deve parlare tanto: anche la presenza silenziosa comunica accoglienza.

Nei momenti di gioco libero, è possibile accompagnare senza controllare. Offrire possibilità diverse, lasciare che i ragazzi si esprimano, partecipare con discrezione: così si costruisce uno spazio autentico, in cui ciascuno può sentirsi parte. E nei momenti di pausa, non è detto che si debba “riempire tutto”: si potrebbe semplicemente stare accanto, mettere musica, offrire un foglio per disegnare, aprire una conversazione leggera.

Anche durante i pasti ci sono occasioni educative. A tavola si può incoraggiare la conversazione, proporre piccoli giochi di gruppo, responsabilizzare i ragazzi nella preparazione e nella cura degli spazi. Un tono pacato, qualche regola condivisa, e il momento del pranzo diventa occasione di crescita nella convivialità e nel rispetto.

Animare un gruppo non vuol dire gestire ogni cosa. È più simile a coltivare: si semina con la pazienza, si annaffia con l’ascolto, si pota con gentilezza, si accoglie ogni frutto come dono. Ogni gruppo è diverso. Non esiste una formula unica, ma esiste uno stile: quello dell’ascolto, della fiducia, della presenza che accompagna.

In fondo, come diceva don Bosco, educare è questione di cuore. E un cuore attento alle relazioni fa fiorire anche i gruppi più difficili.

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