Nel mondo digitale di oggi, i giovani sono chiamati a non perdersi, ma a riscoprirsi. Tra connessioni e scelte, cresce una nuova umanità. Oggi parliamo di chi siamo quando siamo connessi
Jason Goodman
Viviamo immersi in un mondo sempre connesso. Apriamo gli occhi al mattino e la prima luce che vediamo spesso è quella dello schermo. I nostri gesti quotidiani – dal cercare un’informazione al mandare un messaggio, dal condividere una foto al seguire un evento – passano quasi sempre attraverso una piattaforma digitale. Il mondo online non è più uno spazio alternativo al reale: è diventato il nostro ambiente di vita quotidiana.
Ma che effetto ha tutto questo su di noi? Che tipo di umanità sta emergendo nell’epoca della connessione permanente?
Il filosofo Luciano Floridi, uno dei pensatori più autorevoli nel campo dell’etica digitale, afferma che viviamo ormai dentro l’infosfera: uno spazio in cui l’informazione digitale e la vita biologica sono così intrecciate da essere inseparabili. Secondo Floridi, l’essere umano contemporaneo è diventato un “inforg”, cioè un organismo informazionale, un essere che interagisce costantemente con dati, reti, sistemi intelligenti.1
Non è una mutazione da poco. Significa che la nostra identità, le nostre relazioni, la nostra percezione del mondo e del tempo sono profondamente influenzate da ciò che accade online. È come se il confine tra reale e virtuale non esistesse più. Ma questo non può lasciarci indifferenti.
Papa Francesco, nella sua enciclica Laudato Si’, ci ricorda che “l’uomo ha una natura da rispettare e che non può manipolare a piacimento” (LS 155). Questa verità vale anche nell’ambito digitale. Non basta essere “competenti” nella tecnologia: serve una coscienza critica, capace di interrogarsi su chi stiamo diventando mentre usiamo queste tecnologie.
Il rischio più grande è la disumanizzazione per eccesso di connessione. Lo spiega bene padre Paolo Benanti, francescano e bioeticista, parlando di “tecno-antropologia”: se non stiamo attenti, l’essere umano può diventare un semplice ingranaggio del sistema digitale, una ‘cosa’ tra le cose, governato da algoritmi e non da scelte libere2.
Questa disumanizzazione può manifestarsi in modi sottili:
Come educatori, come giovani, come cristiani, non possiamo restare spettatori. La sfida è educare a una nuova umanità digitale, che non si perda nella rete ma trovi lì nuovi modi di vivere con pienezza.
Don Bosco ci ha insegnato che l’educazione è cosa del cuore. E oggi più che mai serve un’educazione che aiuti i giovani a:
In questo senso, anche l’ambiente digitale può diventare “casa, scuola, parrocchia e cortile”, come voleva Don Bosco. Ma solo se lo abitiamo con uno spirito critico e con un cuore pienamente umano.
La rete non ci impone chi siamo: siamo noi a decidere. Ogni like, ogni condivisione, ogni video che guardiamo o pubblichiamo dice qualcosa su chi vogliamo essere.
Essere umani digitali non significa rinunciare alla tecnologia, ma usarla per realizzare il nostro pieno potenziale umano: pensare, amare, servire, creare, pregare, costruire comunità.
Come diceva il beato Carlo Acutis, “non io, ma Dio”: anche nell’ambiente digitale possiamo vivere una santità quotidiana, che nasce da scelte libere e consapevoli.
Essere giovani nell’epoca digitale non è facile. Ma è anche un’occasione meravigliosa. Possiamo imparare a navigare nella rete senza naufragare, a camminare nella luce anche tra i pixel, a restare umani anche mentre siamo online.
Il prossimo articolo esplorerà proprio questa libertà: come vivere da giovani digitali liberi, capaci di scegliere e non semplicemente reagire. Perché solo chi è libero può amare davvero.
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1 https://www.treccani.it/magazine/atlante/filosofia/Luciano_Floridi.html
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