Fa notizia sui media la questione dei tre studenti (interessante: sono tutti veneti) che alla maturità hanno deciso di non entrare nel merito dell’orale, “accontentandosi” del raggiunto “minimo” per essere promossi.
La cosa sembra circoscritta ad alcune persone. In questi casi l’uditorio si divide, chi sta con gli studenti, chi plaude al ministro che promette che dal prossimo anno la cosa non sarà più possibile.
Mi limito a due pensieri. Da molti i ragazzi sono stati ritenuti capaci di un gesto coraggioso, una critica al “sistema” di valutazione, ritenuto ingiusto. Quindi un gesto di “maturità”. Confesso una certa simpatia per i ragazzi (segno della vocazione ad essere incendiario più che pompiere), ma faccio fatica a vederli come degli intrepidi che sfidano il sistema a sette teste. Per un solo motivo, non messo ufficientemente in evidenza. Sono dei bravi ragazzi che criticano il sistema nel momento in cui, qui la mia sottolineatura, avevano infilato (come dice un mio amico) le “mutande di ghisa”, cioè il raggiungimento del minimo, il 60/100.
Mi viene in mente uno spot che andava qualche anno fa… diceva: “ti piace vincere facile”. In altre parole: cavalco il sistema (ritenuto ingiusto) quel tanto che basta per non avere storie, me ne servo per non avere conseguenze, poi giù le mazzate. Più che coraggio, la dote dei ragazzi mi sembra una feroce “realpolitik”, degli ottimi assicuratori (di sé, in primis), futuri politici (?).
Secondo spunto. La ragazza di Belluno, nell’intervista rilasciata al Corriere dice “Non c’è mai stata la voglia di scoprire la ‘vera me’ da parte dei docenti”: un peccato di mancanza di “alterità”. Un “peccato” a cui è difficile sfuggire. Questo, forse, potrebbe essere un indice di maturità, tra i tanti, e cioè se gli studenti possano aver scoperto (o meno) “il vero sé” delle materie che studiano, cosa che non necessariamente coincide con il voto. Altro modo per dire il senso dello studio.
So long
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