Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’incontro internazionale per la pace dal titolo “Osare la pace-Religioni e Culture in dialogo”.
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Desidero ringraziare la Comunità di Sant’Egidio, per il rinnovato incontro internazionale per la pace.
Rivolgo un saluto di grande cordialità a Sua Maestà la Regina Mathilde dei Belgi, che onora questo incontro, e alle importanti autorità religiose che richiamano tutti noi a un impegno collettivo: quello di osare la pace.
Tenere vivo lo “spirito di Assisi”, suscitato da Giovanni Paolo II, è testimonianza di grande significato.
Scontro o incontro caratterizzano l’interazione tra gli Stati?
Cosa ha consentito la grande crescita di diritti dell’intera umanità, il riconoscimento della dignità della persona?
Il riconoscersi tra i popoli come eguali, gli scambi, il permettere accesso reciproco alle rispettive risorse, ha sconfitto, nel Novecento, l’idea che, per sopravvivere, fosse necessario combattere per sottrarre beni a qualcun altro.
Il nazionalismo da opporre ad altri nazionalismi nasce dal considerare gli altri popoli come nemici, se non come presenze abusive o addirittura inferiori per affermare con la prepotenza e, sovente, con la violenza, pretese di dominio.
Per un trentennio tutto questo sembrava avviato ad essere archiviato nel passato. La fine della Guerra Fredda, con il dialogo Reagan-Gorbaciov e l’apertura a un’accentuata interdipendenza globale, sembrava aprire un’era di pacificazione.
Oggi ci confrontiamo con uno scenario molto diverso, anche in Europa.
Il tema della forza pretende nuovamente di essere misura delle relazioni internazionali.
Abbiamo costruito, con l’Unione Europea, una condizione - sin qui realizzatasi tra i suoi membri - per cui le armi avrebbero taciuto per sempre.
E questo per volontà democratica dei suoi popoli liberi, non per imposizione imperiale o di uno dei dittatori, protagonisti di disumani esperimenti del secolo scorso.
Una condizione e valori che hanno pesato, influenzando tante altre aree del mondo, avviando una fase destinata a globalizzazione dei diritti e a colmare gradualmente il divario tra popoli del Nord e del Sud del mondo.
Non è stata una stagione priva di tensioni e di prezzi pagati duramente dalle popolazioni civili, come nei vicini Balcani.
A fronte delle crisi sono stati apprestati, tramite l’Organizzazione delle Nazioni Unite, gli strumenti per una ricerca perseverante di percorsi di pace, come antidoto alla tentazione del ricorso all’uso della forza e della prevaricazione.
Protagoniste sempre più significative, nel tempo, le opinioni pubbliche, i movimenti popolari per la pace, le comunità, come quella di Sant’Egidio che hanno sviluppato percorsi in direzione della pace.
Un impegno prezioso che, nell’attuale scenario geopolitico, appare più che mai indispensabile.
Lo “Spirito di Assisi”, che viene riproposto in questi incontri rammenta a tutti noi che la pace non è un risultato destinato ad affermarsi senza dedicarvisi con costanza.
La pace va cercata, coltivata e “osata”, per citare l’evocativo titolo scelto quest’anno.
Come ha ricordato Sua Santità Leone XIV, «serve disarmare gli animi e disarmare le parole per poter realmente favorire la pace». Faccio mio il suo appello di pochi giorni fa, in occasione della visita al Quirinale, affinché si «continui a lavorare per ristabilire la pace in ogni parte del mondo e perché sempre più si coltivino e si promuovano principi di giustizia, di equità e di cooperazione tra i popoli, che ne sono irrinunciabilmente alla base».
Di fronte a queste parole e osservando l’instabilità, le tensioni, i conflitti, la violenza – anche verbale - che caratterizzano la nostra contemporaneità, si registra la diffusione di atteggiamenti che, se applicati alla convivenza all’interno delle nostre società nazionali, meriterebbero l’appellativo di teppistici.
Risulta oscuro come comportamenti ritenuti generalmente riprovevoli, se non severamente censurabili, se relativi alle normali relazioni umane, abbiano la pretesa, nelle relazioni internazionali, di essere considerati fatti politici.
Mentre, alla parola “dialogo”, viene attribuito, anziché il carattere della fortezza, il segno di una debolezza, di una remissività.
Le azioni di forza e i “fatti compiuti” pretendono di assumere la natura di situazioni definitive, mentre non sono che la premessa dell’esplodere di future contrapposizioni. È doveroso contrastarle.
Con insensatezza e, ancor più, con cinismo, il “costo”, anche in vite umane, della guerra viene spesso percepito dai belligeranti come inferiore a quello della pace.
Chiediamoci: cosa induce a usare immani risorse per bruciarle sull’altare della guerra e non, invece, per costruire la pace? Occorrono cambiamenti radicali nella mentalità e nella condotta prescelte.
Certo, per la pace occorre grande coraggio e molto lavoro, ma la pace conviene, la pace è vita, è sviluppo.
Le guerre, ci ha ricordato Andrea Riccardi, evocando la “Fratelli tutti”, lasciano il mondo peggiore di prima. Non a caso Pio XII, nel 1939, aveva ammonito: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”.
Nel Vicino e Medio Oriente, in Ucraina, in Sudan, in tante altre parti del mondo, quanto occorrerà per restaurare i rapporti fra le persone?
Condivido le parole del Rabbino Capo Goldschmidt: “è necessario cambiare e cercare insieme la pace”.
Oggi il coraggio di osare la pace assume un valore ancora più prezioso.
Le notizie giunte nei giorni scorsi da Gaza, dopo gli accordi di Sharm El-Sheikh, con i primi passi di intesa tra le parti in conflitto in Medio Oriente e con il rilascio degli ostaggi, ci ricordano che i processi di pace hanno bisogno di perseveranza, di pazienza, di lavoro di mediazione, di assunzione di responsabilità.
Istituzioni, diplomazie e numerosi altri “facilitatori di pace”, incluse le comunità religiose, svolgono quest’opera giorno dopo giorno, spesso lontano dai riflettori e senza ambire a superflui riconoscimenti esteriori.
Vorrei qui - anche come viatico per gli sviluppi futuri - richiamare una frase del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayeb che, parlando di pace e di fratellanza interreligiosa, ha ribadito la necessità per tutti di innalzare «lo stendardo della pace, anziché quello della vittoria, e [sedersi] al tavolo del dialogo».
Alla forza della prepotenza va contrapposta la forza tranquilla delle istituzioni di pace.
L’auspicio è che la “scintilla di speranza”, come l’ha definita Leone XIV, innescata in Terra Santa si estenda anche all’Ucraina, dove le iniziative negoziali stentano ancora a prendere concretezza mentre le sofferenze di bambini, donne, uomini procurate dalla spietatezza dell’aggressione russa non accennano a diminuire.
Quanto avviene ci impone di perseverare in una risposta comune, equilibrata, mossa dal senso di giustizia e di rispetto per la legalità internazionale, dalla vigenza universale dei diritti dell’uomo.
Sono i principi in cui si riconosce la Repubblica Italiana.
Il contributo dei peace-maker, che costruiscono ponti e tessono relazioni tra comunità in conflitto, e dei peace-keeper, che vegliano sul rispetto dei cessate il fuoco e sulla protezione dei più vulnerabili, è inestimabile: far sorgere un principio di pace anche nei contesti più ostili.
Il messaggio è chiaro: alla violenza delle armi esiste sempre un’altra strada, un modo diverso e più conveniente per risolvere le contese, sottraendosi a rischi fatali di escalation incontrollate, i cui effetti pongono a rischio la sopravvivenza dell’umanità.
Nella memoria dell’uomo rischiano di affievolirsi i ricordi delle tragedie che hanno caratterizzato l’ultima guerra mondiale: abbiamo fra noi Kondo Koko, un’Hibakusha, una sopravvissuta alla bomba nucleare che devastò Hiròshima. Persino quello che fu uno spartiacque nella storia, appare oggi in discussione.
Non si può omettere di ricordare che osare la pace include e abbraccia altri aspetti: dalle ampie zone di grande povertà nel mondo, alle sofferenze dei migranti, alla crescente concentrazione della ricchezza in poche mani in luogo della sua diffusione.
Di fronte alle guerre e per la pace parlano le religioni, con la forza della loro autorevolezza, con la definizione della pace come “santa”, nell’infaticabile ricerca di quel che unisce gli esseri umani, nella promozione della solidarietà globale.
Tutti noi siamo oggi chiamati a rinnovare la nostra fiducia nella causa della pace.
Rendiamo comune e condiviso l’appello di questo incontro: continuiamo a osare la pace.
Continuiamo a investire in percorsi di dialogo e di mediazione, a sostenere chi soffre, a costruire ponti tra i popoli, per contribuire a un mondo in cui la pace non sia un sogno per illusi, ma una realtà condivisa.
Quella realtà in cui, come ricordava Papa Francesco, «si riconosce la dignità di ogni essere umano, quando la fratellanza diventa principio ispiratore di un ordine internazionale più giusto e sostenibile».
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Fonte: Quirinale
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