L'arte di stare con i ragazzi: l'assistenza come presenza viva

Spunti di formazione per animatori in stile salesiano, l’importanza dell’assistenza!

C’è un aspetto dell’animazione che spesso passa in secondo piano, ma che rappresenta forse il cuore silenzioso di tutto il nostro servizio: la presenza. Stare accanto ai ragazzi nei momenti liberi – in cortile, al campo, durante un laboratorio – può sembrare qualcosa di semplice, ma contiene una grande ricchezza educativa, se vissuta con consapevolezza e cura.

Nel Vangelo dell’incontro tra Marta e Maria, emerge un equilibrio che può ispirare anche il nostro modo di essere animatori. Marta è attiva, organizzatrice, piena di zelo; Maria è contemplativa, attenta alla relazione. Forse un buon assistente potrebbe cercare proprio questo equilibrio: avere uno sguardo che sa ascoltare e un corpo pronto a muoversi, preparare con attenzione ciò che serve ma senza mai perdere di vista chi si ha davanti.

Don Bosco, nei suoi racconti, descriveva le ricreazioni come momenti preziosi, in cui si agganciavano i ragazzi “con una parola all’orecchio”. Non grandi discorsi, ma suggerimenti, inviti, incoraggiamenti personali. A volte bastava una battuta detta al momento giusto, un sorriso, un gesto d’attenzione. Forse anche oggi si potrebbe recuperare questa semplicità: più sguardi e meno megafoni, più presenza silenziosa che istruzioni urlate.

Assistere, in fondo, non significa solo controllare o “esserci” in senso fisico, ma partecipare pienamente alla vita del gruppo. Potrebbe essere utile, ad esempio, arrivare un po’ prima, fare un giro negli spazi, salutare con il sorriso, ricordarsi i nomi, ascoltare chi ha voglia di parlare. Sono attenzioni piccole, ma che comunicano ai ragazzi: “Qui sei visto, qui conti.”

Anche durante i momenti di gioco o di tempo libero si potrebbe trovare un modo per entrare con discrezione nel mondo dei ragazzi. Non si tratta di sorvegliare, ma di condividere. Di stare in mezzo, non al margine. Di lasciarsi coinvolgere, senza perdere il proprio ruolo educativo. Magari giocando, chiacchierando, facendo domande, oppure semplicemente restando disponibili, senza fretta.

Nei momenti più delicati – quelli in cui un ragazzo è in difficoltà, si isola, o si agita – potrebbe essere d’aiuto uno sguardo attento, la pazienza di osservare, il coraggio di avvicinarsi. Senza giudicare, senza intervenire subito, ma con l’intento di comprendere. L’assistente non è un giudice, ma un ponte. E per essere un buon ponte, serve equilibrio, tenuta, ascolto.

Naturalmente, ogni ambiente educativo ha bisogno di regole chiare e condivise. Ma forse può essere più efficace proporle in modo positivo, sottolineando ciò che si può fare anziché ciò che è vietato. Non tanto “non correre”, quanto “attenzione agli altri mentre corri”. Non solo “non urlare”, ma “cerchiamo un tono che ci aiuti a capirci”. E quando ci sono comportamenti difficili? Si potrebbero usare segnali non verbali, un avvicinamento, un sorriso ironico, una pausa. Spesso bastano per riportare l’attenzione.

Nelle situazioni più complesse, può essere utile non agire da soli, ma contare sul gruppo degli animatori. Confrontarsi, distribuire le responsabilità, avere fiducia nei responsabili e nei compagni di squadra. Lavorare insieme non è solo più efficace: è anche più bello.

E poi c’è un segreto semplice, ma potente, che ritorna spesso nei testi salesiani: pregare per i ragazzi. Nei momenti facili e in quelli faticosi, quando tutto fila liscio e quando si è in difficoltà. Non tanto per trovare soluzioni immediate, quanto per educare il nostro sguardo ad accogliere, a sperare, a credere che ogni ragazzo ha in sé qualcosa di buono che sta cercando il modo di venire alla luce.

Alla fine, non si tratta di “fare gli assistenti” per dovere, ma di scegliere ogni giorno di essere una presenza viva, coinvolta, significativa. Senza pretese di perfezione, ma con il desiderio sincero di stare con i ragazzi come amici veri. Con il cuore aperto, e la gioia di chi sa che l’educazione passa per le relazioni che costruiamo, giorno dopo giorno.

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