Scelgo di partire da un’immagine, unica per un motivo: non è facile oggi vedere o sentire qualcosa che vada un po’ oltre il “formale”.
Si tratta di Baroni e di Inzaghi, allenatori di Lazio e Inter, espulsi perché verso la fine della partita si sono “beccati”. A bordo del campo vedono la fine della partita, insieme, dove uno abbraccia l’altro. Incredibile. La vittoria per uno significherebbe la qualificazione alla Champions, per l’altro la conquista quasi certa dello scudetto, il pareggio finale non servirà a nessuno. Al di là di questo, il gesto ha un significato decisivo: si può essere avversari, ci si può arrabbiare fino al punto di essere espulsi, ma si può ritrovare la propria umanità in una manciata di secondi. La comune passione ci può rendere avversari, senza perdere la vicinanza.
Qualche giorno fa è scomparso un grande sportivo per l’Italia, Nino Benvenuti, medaglia d’oro di pugilato a Roma 1960 e poi campione mondiale dei pesi medi nella seconda metà degli anni ’60. Titolo vinto in tre memorabili incontri con un pugile statunitense, Emile Griffith. Nel momento in cui però Griffith, per una serie di circostanze si trovò in profonda difficoltà, Benvenuti prese l’aereo per andare ad aiutarlo. Gli fu chiesto il motivo, la risposta, come un diretto: “Non puoi che essere amico di uno con cui hai fatto a cazzotti per 45 round”.
Fare a cazzotti, giocarti contro diventa spazio in cui non si perde l’umanità, ma si diventa addirittura amici. Come sempre si tratta di sensibilità… ovvio. Viene da chiedersi quale educazione abbiano avuto queste persone: mi sembra una buona domanda. Mi sembra di poter dire, con sicurezza, che è stata un’educazione lontana da quella ipersensibilità che incontriamo quotidianamente, per cui un semplice sguardo, un po’ più prolungato, diventa motivo di richiesta di giustificazione. Uno sguardo “giudicante”, che ha violato la nostra sacra soggettività, torre d’avorio così spesso lontana dall’altro.
So long
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