Omelia di don Fabio Attard ai giovani del MGS riuniti a Valdocco per Maria Ausiliatrice.
Festa di Maria Ausiliatrice
Valdocco 24 maggio 2025
Omelia di don Fabio Attard con i giovani del MGS
Abbiamo ascoltato il Vangelo dell'Annunciazione, un Vangelo che abbiamo ascoltato mille volte. In questo momento particolare della storia, ha qualcosa da dire a noi, qui riuniti per la messa del Movimento Giovanile Salesiano, perché la parola di Dio ha sempre la capacità di comunicare qualcosa, nella misura in cui noi riusciamo a metterci in ascolto e a disposizione di ciò che Dio vuole comunicarci. Vorrei condividere tre parole da questo Vangelo, tre parole che in qualche modo fanno parte anche della nostra vita di credenti, della nostra vita di persone che stanno cercando di andare avanti nel miglior modo possibile.
Il Vangelo ci presenta innanzitutto una giovane donna che, al sopraggiungere di un'esperienza particolare, significativa e importante, non rimane superficiale né si accontenta di un "va bene, basta". Al contrario, assume un atteggiamento di ascolto, ed è questa la prima parola chiave: ascolto. Ascolto, perché si interroga: "Cosa sta succedendo? Cosa c'è qui?". Un ascolto che predispone la persona a un atteggiamento sano e maturo, in cui si dice: "Un momento, vediamo cosa c'è".
Carissimi, quante volte per noi, come persone credenti, il Signore entra nella nostra vita, non per comandarci qualcosa, ma perché ci ama. La sua presenza, come diceva San Giovanni Paolo II, "non ci toglie niente"; Dio vuole semplicemente continuare ad essere ciò che è per noi: amore. Di fronte a questo invito, a questa vicinanza, il primo atteggiamento è di porsi come persona interessata e interpellata, decidendo di prendere sul serio questo momento. Lo facciamo perché riconosciamo che qui c'è qualcosa di più grande di noi. Dentro di noi, come Maria quando riceve la notizia e si sente coinvolta, non emerge un sentimentalismo superficiale ("oh che bello, che carino"), ma resistenze e domande.
Quando Dio entra nella nostra vita, non ci chiede di rinunciare alla nostra personalità, ma semplicemente di non rimanere inerti, come acqua stagnante. Al contrario, c'è qualcosa che ci spinge, che ci muove, e che naturalmente coinvolge tutto ciò che siamo, con le nostre gioie, ma anche con le nostre domande, difficoltà, vulnerabilità e talenti. Questa è la prima parola chiave, cari giovani: lasciarsi interpellare da Dio significa essere persone libere. Nulla ci impedisce di intrattenere un dialogo con il Signore e nulla ci obbliga a rinunciare alla nostra individualità, perché Dio ci prende come siamo ed entra nella nostra vita così come siamo, dicendo: "Va bene". Tuttavia, sappiamo bene che il più delle volte viviamo in un ambiente in cui l'ascolto è interrotto o, in qualche modo, si indebolisce. Spesso si preferisce non lasciarsi sfidare e rimanere nella propria zona di comfort, con la conseguenza che tutto ciò che siamo si indebolisce pian piano, consapevolmente o meno. La nostra personalità rischia di diventare un oggetto, gestito da altri, e noi, come persone, perdiamo libertà, titolarità, protagonismo e la capacità di dialogare con Dio, di stabilire cioè un dialogo non simmetrico, perché l'umano è interpellato dal divino.
Questo è il primo invito che vi rivolgo: prendete in mano la vostra persona. Il primo passo è lasciarsi interrogare per conoscere se stessi, non semplicemente per dirlo agli altri ("guarda, io sono il più bravo della classe"), ma per riconoscersi davanti a Colui che ci ha creato perché ci ama, a Colui che si è fatto come noi per redimerci, a Colui che continua a essere una potenza spirituale per santificarci: Dio creatore, Dio Redentore, Dio santificatore. Ci rendiamo conto che quando si rinuncia a Dio, non è una questione di religione (non religione cristiana o altro), ma una questione di personalità. Questo è il primo invito, carissimi: non rinunciate alla capacità di essere interpellati, all'ascolto.
La seconda parola chiave è la disponibilità. Quando accettiamo di entrare in dialogo con Dio, lasciamo che Egli sia pienamente Dio, affinché la nostra vita diventi spazio per la sua divinità e la nostra umanità possa crescere. Come diceva uno dei primi santi filosofi della Chiesa: "Dio si è fatto uomo perché l'uomo si faccia Dio". Benché possa sembrare un'affermazione audace, racchiude una delle verità più profonde della nostra fede: Dio si incarna per renderci partecipi della sua natura divina. Pertanto, la nostra disponibilità è un atteggiamento di protagonismo, grazie al quale la nostra individualità si realizza pienamente e, uniti, diventiamo un "noi" più completo. Questa è la bellezza della fede cristiana. Guardiamo a Maria: nel momento dell'Annunciazione, pur manifestando le sue perplessità, accetta e permette che la sua vita sia colmata dalle sorprese di Dio.
La disponibilità non significa desiderare certezze, perché l'unica certezza che abbiamo è di essere amati e di non essere mai orfani di questo amore. Nell'abbraccio di questo grande amore, posso dire a Dio: "Mi fido di te perché nulla è impossibile a Dio", e questo significa credere nell'amore. Vedete come fede e amore sono interconnessi? Allora, la mia disponibilità non è un assegno in bianco; al contrario, è scommettere la vita sulla vittoria, non sul "forse" della vittoria: "Si faccia di me secondo la tua parola", sì! Ho piena fiducia in te, tu non mi tradirai mai, io forse sì, ma tu no. Carissimi, vedete allora come la fede genera in noi quella disponibilità in cui l'umano è guidato, illuminato e rafforzato dal divino, perché umanamente certe cose non si spiegano, come i gesti di quei credenti che, di fronte all'avvertimento di un prudente "Beh, bisogna fare attenzione", rispondono: "No, io a questo ci credo". La disponibilità, quindi, non è rinuncia a qualcosa, ma donazione a qualcuno.
Ascolto, disponibilità: la terza parola è generosità. Una generosità che non fa calcoli, ma si dona. Essendo liberi nel dialogo e nella disponibilità, niente e nessuno ci impedisce la donazione totale, perché abbiamo già tutto, non ci manca niente: siamo amati e la speranza è certa. Nella vittoria non ci rimane che vivere d'amore, per amore, nell'amore.
Quest'anno, e pongo l'attenzione su questa parola per la sua immensa portata, celebriamo i 150 anni della prima spedizione missionaria. Non dimentichiamo che qui operava Don Bosco, un uomo che incarnava queste tre dimensioni – ascolto, disponibilità e generosità – in modo sereno, libero e liberante. Don Bosco credeva fermamente nella parola, si è reso disponibile al progetto di Dio per la sua vita e la sua generosità non ha conosciuto limiti. Centocinquant'anni fa, qui nella terra santa di Valdocco, Don Bosco preparava la spedizione missionaria in Argentina, la nuova presenza in Francia e, se permettete un accenno, nello stesso mese preparava anche i cooperatori – di cui parleremo più approfonditamente l'anno prossimo. Una visione estremamente innovativa sul ruolo dei laici nella Chiesa, di cui oggi si discute ampiamente.
Cari giovani, riflettete su questo: un uomo che, partendo dall'ascolto e dalla disponibilità, ha reso la sua generosità contagiosa. Se oggi constatiamo la presenza salesiana, con la sua famiglia, in 137 paesi, questo non deve essere motivo di orgoglio, bensì di grande responsabilità! Ciò significa che lo Spirito ha operato in Don Bosco, e la nostra responsabilità è chiederci se stia operando anche in noi oggi. Dobbiamo essere capaci di sviluppare una personalità adulta, che non si lasci sedurre dalle illusioni di morte mentre la vita cresce, e avere il coraggio di una disponibilità che non si basa su calcoli meschini.
Certo, dipende dal fatto che abbiamo la gioia e l'allegria di una generosità che ama senza calcolare; queste sono le sfide che esistevano già allora. Don Bosco – se andate a visitare il museo nella sua casa – aveva un globo sulla scrivania, bene… ma sapete che c'erano altri due globi? Sapete dove si trovavano? Uno nella sua testa e l'altro nel suo cuore! Centocinquant'anni fa, oggi noi abbiamo la parola "glocalmente".
Don Bosco pensava localmente e globalmente! Altro che chiusura, altro che fobia dei rifugiati, altro che guardare dentro per difendere. Questi sono i profeti, e Maria è per noi il modello di un'umanità che non ha paura del divino, perché il divino ci riempie, ci coinvolge e ci eleva attraverso un ascolto adulto, una disponibilità senza calcoli e una generosità che è l'antitesi dell'autorealizzazione e della mancanza di solidarietà odierna.
Anche la Chiesa celebra la giornata di preghiera per la Chiesa in Cina. Ricordiamo questi nostri fratelli, perché unendoci a loro attraverso la preghiera – in ascolto della storia della Chiesa di oggi, con una disponibilità senza confini – anche la preghiera diventa segno di generosità, affinché continuino ad essere guidati e accompagnati da Maria. Concludo, rimanendo come siamo, invitandovi, carissimi, a recitare l'Ave Maria che Don Bosco riconosceva in questa preghiera all'inizio della sua missione. Ave o Maria…
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